La Venere di Willendorf scolpita da Philippe Deleinsegne

La Venere di Willendorf scolpita da Philippe Deleinsegne

7354

Nuovo

Pietra calcarea, scolpita da Philippe Deleinsegne nel 2005.

Più dettagli

1 Disponibile

1 400,00 €



Scheda dati


Altezza 38 cm
Larghezza 21 cm
Profondità 20 cm
Peso 30 Kg
Artista / Ideatore / Architetto Philippe Deleinsegne
Manifattura Recuperando srl
Materiale Pietra calcarea francese / Lime stone

Ulteriori informazioni

La statuetta fu rinvenuta nel 1908 dall'archeologo Josef Szombathy, in un sito archeologico risalente al paleolitico, presso Willendorf, in Austria. È scolpita in una oolite di pietra calcarea non originaria della zona, ed è dipinta con ocra rossa.
Intorno al 1990, dopo un'accurata analisi della stratigrafia del luogo, e dopo precedenti datazioni che la ponevano inizialmente al 10.000 a.C. poi fino al 32.000 a.C. , fu stimato che la statuetta sia stata realizzata da 24.000 a 26.000 anni fa. Non si sa quasi nulla delle sue origini, del modo in cui è stata scolpita, o del suo significato culturale.

La venere di Willendorf, anche nota come donna di Willendorf, è una statuetta di 11 cm d'altezza raffigurante una donna, scolpita in pietra calcarea oolitica non originaria della zona di rinvenimento, ed è dipinta con ocra rossa. L'opera, raffigurante un fisico femminile steatopigo, si tratta di una delle più famose statuette paleolitiche, dette veneri paleolitiche avendo metaforicamente retrodatato la venere mitologica, di molti millenni; è attualmente in esposizione al Naturhistorisches Museum di Vienna.
La statua si colloca all'interno di quello che è considerabile come il culto della Madre Terra e del Femminile. La vulva (che in teoria su una figura del genere non si potrebbe vedere in questo modo) e il seno sono gonfi e molto pronunciati, a rappresentare un significato di prosperità ("sperare-oltre"), e anche il colore rosso ocra col quale la statuetta è dipinta rimanda al rosso, colore archetipico della passione, e del sangue mestruale che annunciava la rinnovata capacità della donna di poter dar seguito di nuovo alla vita e mettere così a freno la paura dell'oblio; dobbiamo tener presente la funzione dell'arte che per gli antichi era l'utilità rituale che permetteva di leggere lo spirito nel reale, e questa tipologia di statue veniva infatti usata per due motivi analoghi nel loro significato: la perforazione rituale dell'imene per permettere al seme di entrare e generare nuova vita, e lo scavo rituale nel terreno per poter piantare un seme che possa portare frutto e dare energia e vita all'uomo. Le braccia sottili sono congiunte sul seno, e il volto non è visibile; la testa si direbbe coperta da trecce o da un qualche genere di copricapo di "perle".
Il nomignolo "venere", attribuito alla statuetta all'epoca della scoperta, è stato recentemente oggetto di qualche ingiusta critica. Christopher Witcombe ha osservato erroneamente che: "l'identificazione ironica di questa figura con Venere era volta a compiacere alcune assunzioni dell'epoca circa i primitivi, le donne, e il gusto", ma in realtà si tratta di una identificazione non solo corretta e consapevole, ma forse addirittura restrittiva per la grande portata del significato dell'opera. Alcuni suggeriscono che, in una società di cacciatori e raccoglitori, la corpulenza e l'ovvia fertilità della donna potrebbero rappresentare un elevato status sociale, sicurezza e successo, ma nell'ultimo secolo si è scoperto con certezza che le società di provenienza delle veneri erano tutt'altro che nomadi, e anzi erano egualitarie e riservavano alla donna posti di potere (da non interpretare come potere di dominazione) proprio in virtù della dignità che le riconoscevano.
Dopo la Venere di Willendorf, sono state rinvenute molte altre statuette di questo genere, spesso indicate proprio come "veneri" o "veneri paleolitiche".


 

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