Testa di Nerone in marmo copia di una testa dei Musei Capitolini

Testa di Nerone in marmo copia di una testa dei Musei Capitolini

Originale

Nerone (Anzio 37 - Roma 68 d.C.) Imperatore romano (54-68 d.C.).
Ultimo appartenente alla gens Giulio-Claudia.

Nostra produzione in marmo bianco di Carrara.
Copia di una celebre testa dei Musei Vaticani (Roma)

Più dettagli

1 Disponibile

2 800,00 €



Scheda dati


Altezza 43 cm
Larghezza 27 cm
Profondità 30 cm
Peso 25 Kg
Peso complessivo 50 Kg
Sporgenza massima 70 cm
Base di tipo museale inclusa 21 X 21 X 20 cm
Base quadrata - lato x lato 21 X 21 cm
Manifattura Recuperando srl
Materiale Marmo bianco di Carrara

Ulteriori informazioni

Le foto del busto originale dei Musei Capitolini sono state fatte il 18 Luglio 2017 da Guido Frilli.


Figlio di Gneo Domizio Enobarbo e di Agrippina Minore, cambiò il suo nome (Lucio Domizio Enobarbo) in Nerone Claudio Cesare dopo essere stato adottato dall'imperatore Claudio (50 d.C.), che sua madre aveva sposato in seconde nozze l’anno precedente. Nel 53 sposò la figlia di Claudio, Ottavia. Alla morte di Claudio, nel 54, i pretoriani, guidati dal loro prefetto Sesto Afranio Burro - fedele ad Agrippina - lo proclamarono imperatore.

Sotto la guida di Burro, precettore militare, e del filosofo Seneca, addetto alla sua formazione politica e culturale, nonché dell’onnipresente madre, Nerone si mostrò inizialmente deferente nei confronti del senato, restituendogli competenze e funzioni che gli erano state tolte dai suoi predecessori: gli storici hanno infatti parlato di un quinquennium Neronis, cioè di un periodo di circa cinque anni nei quali il principe avrebbe governato con saggezza e con indubbio equilibrio. Entrato in contrasto con la madre, che si opponeva alla sua relazione con Poppea Sabina e che intendeva esercitare sempre maggiore influenza sul governo, Nerone fece uccidere Britannico - figlio di Claudio e di Messalina - considerato un possibile pretendente al trono, e allontanò la madre da Roma, facendo poi uccidere anche lei nel 59.
Dopo l’assassinio della madre, la morte di Burro - sostituito nella prefettura dal feroce Tigellino e da Fenio Rufo - e il ritiro forzato dalla vita pubblica di Seneca, ormai inascoltato consigliere, Nerone modificò radicalmente la propria politica. Divenuto ostile al senato, iniziò a favorire i ceti popolari e militari e a esercitare un potere sempre più dispotico. Assunse atteggiamenti che, lontani dal mos maiorum, accostarono il suo principato a una monarchia ellenistica, come già Caligola aveva tentato di fare. D’altra parte l’imperatore non faceva mistero della sua passione per la cultura greca e per le sue manifestazioni letterarie, delle quali si considerava, per certe sue prove poetiche, degno continuatore.

Cercò il consenso popolare con la guerra, impegnando l’esercito in una lunga e faticosa spedizione in Armenia, cui solo nel 63 il generale Corbulone pose termine, e che portò all’incoronazione del principe partico Tiridate IV a re vassallo dell’imperatore. Cercò anche popolarità con l’indizione di ludi e di pubbliche sovvenzioni al popolo, il che gli fece dissipare la ricchezza dell'erario, ben amministrato invece dal suo predecessore Claudio, e lo obbligò a imporre pesantissime tassazioni e, addirittura, a svalutare la moneta, soprattutto quella d’oro, rendendone il valore intrinseco inferiore rispetto a quello nominale. Quando, nel luglio del 64, Roma fu distrutta da un incendio, l'imperatore ne fu ritenuto responsabile; invano cercò di incolpare dell'accaduto i cristiani, che furono oggetto di feroci persecuzioni. In seguito si fece costruire una nuova residenza imperiale, la Domus Aurea, dimora degna delle regge dei sovrani orientali.

Fortissima fu l’opposizione senatoria all’imperatore, permeata dei valori della filosofia stoica; altrettanto dure furono però le repressioni ordite da Nerone. Nel 65 l’aristocratico Caio Calpurnio Pisone ordì una congiura ai danni dell’imperatore, che tuttavia la scoprì e fece uccidere tra gli altri Seneca e i letterati Lucano e Petronio, un tempo suoi amici, accusati di aver preso parte alla cospirazione, ma anche uomini politici del calibro di Corbulone e Trasea Peto, la cui eroica morte è narrata da Tacito. Nel 66-67 Nerone si recò in Grecia, alla quale rese formale libertà e fece concessioni fiscali, rendendo così più difficili i rapporti con le altre province dell'impero. Nel 68 le legioni stanziate in Gallia e in Spagna, guidate rispettivamente dai legati Giulio Vindice e Galba, si ribellarono all'imperatore, costringendolo a fuggire da Roma. Dichiarato nemico pubblico dal senato, Nerone si suicidò, dando così inizio alla guerra civile degli anni 68-69, che vide dopo di lui alternarsi sul trono di Roma Galba, Otone, Vitellio e Vespasiano.


 

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